Nel condominio accade di frequente che, mentre si discute la compravendita di un appartamento, l’assemblea stia già progettando (o abbia appena approvato) il rifacimento delle facciate, la sostituzione dell’ascensore o altri interventi di manutenzione straordinaria. Il prezzo di vendita, allora, diventa un terreno minato: chi deve farsi carico delle quote, il venditore uscente o l’acquirente che entrerà a breve?
La risposta, ormai ben consolidata nella giurisprudenza di legittimità e di merito, ruota attorno a un momento preciso della vita assembleare. Fino a quando l’assemblea si limita a raccogliere preventivi, nominare il tecnico di fiducia o costituire il fondo cassa, siamo ancora nel territorio delle delibere preparatorie: utili a pianificare, ma incapaci di generare un vero debito condominiale. L’obbligazione nasce soltanto quando l’assemblea affida formalmente l’appalto, indica l’importo complessivo dell’opera e, contestualmente, ripartisce la spesa tra i singoli condomini. È quella delibera, e solo quella, a costituire il “titolo” che rende esigibili le quote.
La Corte di Cassazione – ordinanza n. 11188 del 26 aprile 2024 – ha chiarito che, se l’atto di affidamento interviene prima che la vendita sia perfezionata, il debitore resta il venditore, a prescindere da eventuali patti di accollo stipulati con l’acquirente; tali accordi hanno valore meramente interno e non possono essere opposti al condominio. Pochi mesi dopo, il Tribunale di Padova (sentenza n. 602/2024) ha applicato lo stesso principio annullando un riparto che pretendeva di far gravare sull’acquirente spese deliberate anni prima, ribadendo che il neo-condomino può essere chiamato in via solidale soltanto per la gestione ordinaria dell’anno in corso e di quello precedente, come prescrive l’art. 63 disp. att. c.c.
Il discrimine cronologico è netto: se l’assegnazione dei lavori e il relativo riparto avvengono dopo il rogito, la pretesa economica si sposta invariabilmente sul nuovo proprietario, che diventa condomino a tutti gli effetti. Se invece il rogito sopraggiunge quando l’appalto è già stato deliberato, il condominio può riscuotere l’intera quota dal venditore, mentre l’acquirente ne rimane estraneo salvo patto contrario con il venditore stesso. Questa lettura, già accolta dalla Cassazione con l’ordinanza n. 19756/2022, garantisce la certezza dei rapporti interni e tutela l’affidamento dei terzi creditori del condominio.
Si comprende, dunque, perché nella prassi si raccomanda di controllare con cura i verbali: la data della delibera di affidamento – e non quella dei semplici preventivi – stabilisce il debitore effettivo. Chi vende farebbe bene a presentare all’acquirente il certificato rilasciato dall’amministratore ai sensi dell’art. 1130 n. 9 c.c., così da fotografare la situazione debitoria dell’unità; chi compra, dal canto suo, dovrebbe pretendere clausole chiare sul riparto degli oneri straordinari, consapevole che, in mancanza di accollo espresso e opponibile, il condominio agirà comunque sul dante causa.
La regola, in sintesi, è semplice: il momento in cui l’assemblea affida i lavori e divide la spesa consegna il debito a chi, in quell’istante, è proprietario. Ogni altra valutazione – dalla solidarietà biennale per l’ordinario alla libertà di accordi privati fra le parti – resta sullo sfondo e non altera il rapporto tra condominio e condomino. Una lettura attenta dei verbali, un accurato esame delle tempistiche e l’assistenza legale nella negoziazione del contratto di compravendita sono, dunque, gli strumenti decisivi per evitare contenziosi e sorprese economiche dopo la firma.
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